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L’automobile spinta dall’etere di Nikola Tesla

27 Giu

La città di Buffalo, nel nord dello stato di New York negli USA, fu silenziosa testimone di un fatto straordinario nel corso di una settimana durante l’estate del 1931. Nonostante la depressione economica avesse compromesso la produzione e i commerci, la città nondimeno rimaneva una fucina di attività. Un giorno, tra le migliaia di veicoli che ne percorrevano le vie, una lussuosa automobile si fermò accanto, al marciapiede presso il semaforo di un incrocio. Un passante notò come si trattasse di una berlina Pierce-Arrow ultimo modello, coi fari che s’integravano con grazia nei parafanghi nel tipico stile di questa marca. Quello che caratterizzava l’auto in quella fredda giornata estiva era l’assoluta assenza di emissione di vapore o fumi dal tubo di scarico. Il passante si avvicinò al guidatore e attraverso il finestrino aperto commentò l’assenza di fumi dallo scarico. Il guidatore ringraziò il passante per i complimenti sottolineando che era così perché l’automobile “non aveva motore”.
    Questa dichiarazione non è stravagante o maliziosa come potrebbe sembrare. C’era una certa verità in essa. Infatti, la Pierce-Arrow non aveva un motore a combustione interna; aveva invece un motore elettrico. Se l’autista si fosse preoccupato di completare la sua spiegazione al passante, avrebbe potuto dirgli che il motore elettrico non era alimentato da batterie – da nessun tipo di “carburante”.
    L’autista era Petar Savo, e nonostante stesse guidando quell’auto non era il responsabile delle sue incredibili caratteristiche. Queste erano il lavoro dell’unico passeggero, un uomo che Petar Savo conosceva come uno “zio”: non altri che il genio dell’elettricità Nikola Tesla (18 56-1943).
Negli anni ’90 del 19′ secolo Nikola Tesla aveva rivoluzionato il mondo con le sue invenzioni per sfruttare l’elettricità, dandoci il motore elettrico a induzione, la corrente alternata (AC), la radiotelegrafia, il radiocomando a distanza, le lampade a fluorescenza ed altre meraviglie scientifiche. In realtà fu la corrente alternata polifase di Tesla e non la corrente continua di Thomas Edison ad inaugurare la moderna epoca tecnologica.
    Tesla non rimase a dormire sugli allori ma continuò a fare scoperte fondamentali nei campi dell’energia e della materia. Scoprì i raggi cosmici decenni prima di Millikan e fu il primo a sviluppare i raggi-X, il tubo a raggi catodici e altri tipi di valvole.

    Comunque, la scoperta potenzialmente più significativa di Nikola Tesla fu che l’energia elettrica può essere propagata attraverso la Terra ed anche attorno ad essa in una zona atmosferica chiamata cavità di Schumann. Essa si estende dalla superficie del pianeta fino alla ionosfera, all’altezza di circa 80 chilometri . Le onde elettromagnetiche di frequenza estremamente bassa, attorno agli 8 hertz (la risonanza di Schumann, ovvero la pulsazione del campo magnetico terrestre) viaggiano, praticamente senza perdite, verso ogni punto del pianeta. Il sistema di distribuzione dell’energia di Tesla e la sua dedizione alla free energy significavano che con l’appropriato dispositivo elettrico sintonizzato correttamente sulla trasmissione dell’energia, chiunque nel mondo avrebbe potuto attingere dal suo sistema.
    Lo sviluppo di una simile tecnologia rappresentava una minaccia troppo grande per gli enormi interessi di chi produce, distribuisce e vende l’energia elettrica.
    La scoperta di Tesla finì con la sospensione dell’appoggio finanziario alle sue ricerche, l’ostracismo da parte della scienza ufficiale e la graduale rimozione del suo nome dai libri di storia. Dalla posizione di superstar della scienza nel 1895, Tesla nel 1917 era virtualmente un “signor nessuno”,, costretto a piccoli esperimenti scientifici in solitudine. Nei suoi incontri annuali con la stampa in occasione del suo compleanno, una figura sottile nel cappotto aperto di stile anteguerra avrebbe annunciato ai giornalisti le scoperte e gli sviluppi delle sue idee. Era un triste miscuglio di ego e genio frustrato.
    Nel 1931, Nikola Tesla compì 75 anni. In una rara dimostrazione di omaggio da parte dei media, la rivista Time gli dedicò la copertina e un profilo biografico. L’anziano ingegnere e scienziato appariva emaciato anche se non sofferente, i suoi capelli ancora di un nero lucido e lo stesso sguardo lontano nei suoi occhi di sognatore.

Le Auto Elettriche Rimangono Indietro
All’inizio del ventesimo secolo, per le automobili elettriche le prospettive erano luminose. Futuristi come Jules Verne avevano anticipato veicoli elettrici alimentati da batterie che erano meccanicamente più semplici, silenziosi, inodori, facili da adoperare e con meno problemi di qualunque automobile con motore a benzina.
    Nell’automobile con motore a benzina occorreva regolare la valvola a farfalla, l’anticipo dell’accensione, pompare sull’acceleratore e far girare il motore con una manovella. In un’auto elettrica bastava soltanto girare una chiave e premere l’acceleratore. Rilasciando l’acceleratore l’auto rallentava immediatamente.
    Se necessario, in un’epoca in cui vi erano poche officine per auto, un normale elettricista poteva eseguire la manutenzione del semplice motore a corrente continua. Non vi era olio da cambiare, né radiatore da riempire, né pompe della benzina o dell’acqua da sistemare, nessun problema di carburazione, nessuna marmitta che si arrugginiva, nessun differenziale o trasmissione da controllare, e nessun inquinamento! Il grasso e l’olio erano limitati a un paio di cuscinetti a sfere del motore elettrico e ad alcuni raccordi del telaio.
    Per le loro consegne i grandi magazzini impiegavano camion elettrici. I medici iniziarono a recarsi alle visite al domicilio dei pazienti con “l’elettrica”, sostituendo il proprio cavallo e calesse con qualcosa di altrettanto semplice da mantenere. Le donne preferivano le auto elettriche per la facilità di guida. Poiché le vetture elettriche erano limitate in velocità e autonomia dalle loro batterie, diventarono popolari come trasporti cittadini.

    Al di fuori delle città, le strade dell’America di allora erano così primitive che diventarono riservate ai veicoli con motore a combustione interna, più veloci, con autonomia maggiore e in rapido progresso. Così, negli USA vi fu una specie di età dell’oro per i veicoli elettrici dopo che il resto del mondo iniziò ad abbandonarli. Detroit Electric, Columbia, Baker, Rauch & Lang e Woods furono le principali aziende tra quelle che producevano questo tipo di veicoli elettrici; si svilupparono nella loro nicchia di mercato con una serie di carrozzerie formali, spesso eleganti.
    Il tallone d’Achille delle vetture elettriche, comunque, fu sempre la densità energetica delle sue batterie, ovvero la sua scarsità. Le batterie erano dei tipo al piombo, pesanti e ingombranti, e sottraevano molto spazio prezioso. Il peso eccessivo riduceva la maneggevolezza e limitava le prestazioni, anche per gli standard di quegli anni. I veicoli elettrici non potevano superare i 70- 80 Km/h , poiché a queste velocità la batteria si poteva distruggere in un attimo. Spunti attorno ai 60 Km/h si potevano sostenere per tempi brevissimi, e la tipica gamma di velocità dei percorsi era di 25- 35 Km/h . Le batterie richiedevano ricariche ogni notte e l’autonomia massima superava difficilmente i 160 chilometri . Nessun costruttore di veicoli aveva mai installato un generatore elettrico di corrente continua, che avrebbe potuto restituire piccole quantità di energia alle batterie mentre il veicolo era in movimento, aumentandone così l’autonomia. Vi furono promesse su future potenti batterie innovative sin dai tempi di Edison, ma alla fine non se ne vide traccia.
    Non appena la velocità e l’affidabilità delle automobili a benzina migliorarono, le auto elettriche furono abbandonate e rimasero le preferite dai pensionati e dalle signore anziane. L’introduzione della messa in moto elettrica nelle auto a benzina mise il chiodo finale alla bara delle auto elettriche.

La Comparsa di Nikola Tesla
Negli anni ’60 un ingegnere aeronautico di nome Derek Alilers incontrò Petar Savo e sviluppò una lunga amicizia con lui. Durante il loro sodalizio durato dieci anni, Savo gli parlò del suo illustre “zio” Nikola Tesla e delle sue realizzazioni negli anni ’30. (Savo era un giovane parente di Tesla anche se non un nipote, ma si riferiva a lui come “zio”.)
    Nel 1930 Nikola Tesla chiese a suo “nipote” Petar Savo di venire a New York. Savo (nato in Jugoslavia nel 1899, quindi 43 anni più giovane di Tesla) era stato nell’esercito austriaco ed era un esperto pilota, così colse fervidamente l’opportunità di lasciare la Jugoslavia (paese natale di Nikola Tesla). Si trasferì negli USA stabilendosi a New York.
    Nel 1967, in una serie di interviste, Savo descrisse la sua parte nell’episodio dell’auto elettrica di Tesla.
    Durante l’estate del 1931, Tesla invitò Savo a Buffalo, nello stato di New York, per mostrargli e collaudare un nuovo tipo di automobile che aveva sviluppato di tasca sua. Casualmente, Buffalo è vicina alle cascate del Niagara – dove era entrata in funzione nel 1895 la stazione idroelettrica a corrente alternata di Tesla che lo aveva innalzato al culmine della stima da parte della scienza ortodossa. La Westinghouse Electric e la Pierce-Arrow avevano preparato questa automobile elettrica sperimentale seguendo le indicazioni di Tesla. (George Westinghouse aveva acquistato da Tesla i brevetti sulla corrente alternata per 15 milioni di dollari all’inizio del 20′ secolo.)
    La Pierce-Arrow adesso era posseduta e finanziata dalla Studebacker Corporation, e utilizzò questo solido appoggio finanziario per lanciare una serie di innovazioni. Tra il 1928 e il 1933 l ‘azienda automobilistica presentò nuovi modelli con motori ad 8 cilindri in linea e 12 cilindri a V, i futuristici prototipi Silver Arrows, nuovi stili e miglioramenti di tecnica ingegneristica. La clientela reagì positivamente e le vendite della Pierce-Arrow aumentarono la quota aziendale nel mercato delle auto di lusso, nonostante nel 1930 quest’ultimo fosse in diminuzione. In una situazione così positiva, progetti “puramente teorici” come l’auto elettrica di Tesla erano all’interno di questa sfera concettuale. Nella tradizionale mistura di arroganza e ingenuità dell’azienda, niente sembrava impossibile.
    Così, per le sperimentazioni era stata selezionata una Pierce-Arrow Eight del 1931, proveniente dall’area di collaudo dell’azienda a Buffalo, nello stato di New York. Il suo motore a combustione interna era stato rimosso, lasciando intatti la frizione, il cambio e la trasmissione verso l’asse posteriore. La normale batteria da 12 volt rimase al suo posto, ma alla trasmissione era stato accoppiato un motore elettrico da 80 cavalli.

    Tradizionalmente, le auto elettriche montavano motori a corrente continua alimentati da batterie, dato che quella continua è il solo tipo di corrente che le batterie possono fornire. Si sarebbe potuto utilizzare un convertitore corrente continua/corrente alternata, ma a quei tempi tali dispositivi erano troppo ingombranti per essere montati su un’automobile.
    Il crepuscolo delle auto elettriche era già passato da tempo, ma questa Pierce-Arrow non venne dotata di un semplice motore a corrente continua. Si trattava di un motore elettrico a corrente alternata progettato per raggiungere 1.800 giri al minuto. Il motore era lungo 102 centimetri con un diametro di 76, senza spazzole e raffreddato ad aria per mezzo di una ventola frontale, e presentava due terminali di alimentazione indirizzati sotto il cruscotto ma lasciati senza collegamento. Tesla non disse chi costruì il motore elettrico, ma si ritiene che fu una divisione della Westinghouse. Sul retro dell’automobile era stata fissata un’antenna di 1,83 metri .

L’Affare “Etere-Arrow”
Petar Savo raggiunse il suo famoso parente, come quest’ultimo gli aveva chiesto, e a New York salirono assieme su un treno diretto verso il nord dello stato omonimo. Durante il viaggio l’inventore non commentò la natura dell’esperimento.
    Arrivati a Buffalo, si recarono presso un piccolo garage dove trovarono la nuova Pierce-Arrow. Il Dr. Tesla sollevò il cofano e fece qualche regolazione sul motore elettrico a corrente alternata sistemato al suo interno. In seguito si recarono a predisporre gli strumenti di Tesla. Nella camera di un hotel delle vicinanze il genio dell’elettricità si mise a montare il suo dispositivo. In una valigia a forma di cassetta si era portato dietro 12 valvole termoioniche. Savo descrisse le valvole “di costruzione curiosa”, sebbene in seguito almeno tre di esse siano state identificate come valvole rettificatrici 70L7-GT. Furono inserite in un dispositivo contenuto in una scatola lunga 61 centimetri , larga 30,5 e alta 15. Non era più grande di un ricevitore radio ad onde corte. Al suo interno era predisposto tutto il circuito elettronico comprese le 12 valvole, i cablaggi e le resistenze. Due terminali da 6 millimetri di diametro e della lunghezza di 7,6 centimetri sembravano essere le connessioni per quelli del motore.
    Ritornati all’auto del l’esperimento, misero il contenitore in una posizione predisposta sotto il cruscotto dalla parte del passeggero. Tesla inserì i due collegamenti controllando un voltmetro.

“Ora abbiamo l’energia”, dichiarò, porgendo la chiave d’accensione a suo nipote. Sul cruscotto vi erano ulteriori strumenti che visualizzavano valori che Tesla non spiegò.
    Dietro richiesta dello zio, Savo mise in moto. “Il motore è partito”, disse Tesla. Savo non sentiva alcun rumore. Nonostante ciò, coi pioniere dell’elettricità sul sedile del passeggero, Savo selezionò una marcia, premette sull’acceleratore e portò fuori l’automobile.
    Quel giorno Petar Savo guidò questo veicolo senza combustibile per lungo tempo, per circa 80 chilometri attorno a Buffalo, avanti e indietro nella campagna. Con un tachimetro calibrato a 190 chilometri orari a fondo scala, la Pierce-Arrow venne spinta fino a 145 km/h , e sempre con lo stesso livello di silenziosità del motore.
    Mentre percorrevano la campagna Tesla diventava sempre più disteso e fiducioso sulla sua invenzione; cominciò così a confidare a suo nipote alcuni suoi segreti. Quel dispositivo poteva alimentare le richieste di energia del veicolo per sempre, ma poteva addirittura soddisfare il fabbisogno energetico di un’abitazione – e con energia in avanzo.
    Pur se riluttante, inizialmente, a spiegarne i principi di funzionamento, Tesla dichiarò che il suo dispositivo era semplicemente un ricevitore per una “misteriosa radiazione, che proviene dall’etere” la quale “era disponibile in quantità illimitata”.

Riflettendo, mormorò che “il genere umano dovrebbe essere molto grato per la sua presenza”.
    Nel corso dei successivi otto giorni Tesla e Savo provarono la Pierce-Arrow in percorsi urbani ed extraurbani, dalle velocità estremamente lente ai 150 chilometri all’ora. Le prestazioni erano analoghe a quelle di qualunque potente automobile pluricilindrica dell’epoca, compresa la stessa Pierce Eight col motore da 6.000 cc di cilindrata e 125 cavalli di potenza.
Tesla raccontò a Savo che presto il ricevitore di energia sarebbe stato utilizzato per la propulsione di treni, natanti, velivoli e automobili.
Alla fine della sperimentazione, l’inventore e il suo autista consegnarono l’automobile in un luogo segreto, concordato in precedenza – il vecchio granaio di una fattoria a circa 30 chilometri da Buffalo. Lasciarono l’auto sul posto, ma Tesla si portò dietro il suo dispositivo ricevitore e la chiave d’accensione.
    Questo romanzesco aspetto dell’affare continuò. Petar Savo raccolse delle indiscrezioni secondo le quali una segretaria aveva parlato delle prove segrete ed era stata licenziata. Ciò spiegherebbe un impreciso resoconto sulle sperimentazioni che apparve su diversi quotidiani.
Quando chiesero a Tesla da dove arrivasse l’energia, data l’evidente assenza di batterie, egli rispose riluttante: “Dall’etere tutto attorno a noi”.
Alcuni suggerirono che Tesla fosse pazzo e in qualche modo collegato a forze sinistre e occulte. Tesla fu incensato. Rientrò assieme alla sua scatola misteriosa al suo laboratorio di New York. Terminò così la breve esperienza di Tesla nel mondo dell’automobile.
Questo incidente dell’infrazione nella sicurezza può essere apocrifo, dato che Tesla non disdegnava di utilizzare la pubblicità per promuovere le sue idee ed invenzioni, sebbene quando questi dispositivi mettevano in pericolo lo status quo dell’industria egli aveva ogni buona ragione per essere circospetto nei suoi rapporti.
    L’azienda Pierce-Arrow aveva già toccato il culmine del suo successo nel 1930. Nel 1931 era in calo. Nel 1932 l ‘azienda perse 3 milioni di dollari. Nel 1933 vi furono problemi amministrativi anche nell’azienda madre Studebacker che vacillò sull’orlo della liquidazione. L’interesse passò dall’innovazione alla pura sopravvivenza, e qui la Pierce-Arrow abbandona il nostro racconto.

Un mistero all’interno di un enigma
Circa un mese dopo la pubblicazione dell’episodio, Petar Savo ricevette una telefonata da Lee DeForest, un amico di Tesla e pioniere nello sviluppo delle valvole termoioniche. Egli chiese a Savo se i test lo avessero soddisfatto. Savo rispose con entusiasmo e DeForest lodò Tesla come il più grande scienziato vivente al mondo.
    In seguito, Savo chiese a suo “zio” sugli sviluppi del ricevitore energetico in altre applicazioni. Tesla rispose che era in contatto con uno dei principali cantieri nautici per realizzare una nave con un dispositivo simile a quello dell’automobile elettrica sperimentale. Tuttavia, non gli si potevano chiedere maggiori dettagli dato che era ipersensibile riguardo alla sicurezza del suo dispositivo – e non si può dargli torto. In passato, potenti interessi avevano cercato di ostracizzare Tesla, ostacolando ogni suo sforzo per promuovere ed applicare le proprie tecnologie.
    Chi scrive non è a conoscenza di alcun documento pubblico che descriva un esperimento nautico, o se quest’ultimo accadde. Non venne divulgata alcuna informazione.
Il New York Daily News del 2 aprile 1934 riportava un articolo intitolato “Il sogno di Tesla di un’energia senza fili vicino alla realtà”, che descriveva un “esperimento programmato per spingere un’automobile utilizzando la trasmissione senza fili di energia elettrica”. Questo successe dopo l’episodio e non vi era menzione di “free energy”.
    Nel periodo in cui l’automobile dovrebbe essere stata svelata, la Westinghouse Corporation , sotto la presidenza di F. A. Merrick, pagò per la sistemazione di Tesla al New Yorker, il più nuovo e lussuoso hotel di New York. In esso l’anziano scienziato visse gratuitamente per tutto il resto della sua vita. Tesla venne anche reclutato dalla Westinghouse per ricerche non ben specificate sulle trasmissioni senza fili ed egli interruppe le sue dichiarazioni pubbliche sui raggi cosmici.
    Forse che la Westinghouse comprò il riluttante silenzio di Tesla sulle sue scoperte free energy? Oppure venne finanziato per proseguire dei progetti segreti talmente speculativi da non costituire una minaccia per il complesso industriale nell’immediato futuro? Cala il sipario su un mistero all’interno di un enigma.

Igor Spajic

Tratto da www.disinformazione.it

I POVERI DIAVOLI

10 Apr

Pare che il corso della storia abbia deciso di accelerare il suo moto in questi tempi, e gli eventi si susseguono a ritmi sempre più sostenuti.
Potrebbe anche trattarsi di una semplice sensazione, o forse no.
Comunque stiano le cose, si stanno verificando fatti intravisti negli anni passati da coloro che ipotizzavano l’esistenza di manovre e manovratori poco propensi a mostrarsi sotto la luce dei riflettori, e di decisioni prese all’infuori di ogni apparato governativo consolidato noto.

Ecco quindi che concetti quali il Nuovo Ordine Mondiale, fino a poco tempo fa esclusivo appannaggio dei teorici della cospirazione, sono improvvisamente diventati di dominio pubblico, sdoganati dai grandi della terra e presentati quale soluzione ai problemi che il pianeta attualmente attraversa.
Pare quasi che questi grandi si divertano a dare vita alle preoccupazioni ed ai timori di coloro che vengono catalogati quali “complottisti”, attuando diligentemente, passo dopo passo, il piano che avrebbe condotto verso la creazione di quel nuovo ordine.
Ancora in tempi non sospetti, ad esempio, si attendeva l’arrivo di una grande crisi finanziaria, che si sarebbe presto tramutata in crisi sociale e sarebbe servita da pretesto per una riorganizzazione globale, e così è stato.
Sembra quindi che il paradigma “complottista” abbia saputo dare una giusta chiave di lettura degli eventi, l’evolversi dei quali ricalca con una certa accuratezza le intuizioni che quel modello di analisi aveva suggerito.

Si può giudicare questo paradigma stravagante, e guardare le cosiddette teorie della cospirazione con sufficienza e scetticismo.
Chi è di questo parere solitamente trova assai improbabile l’esistenza di centri decisionali dagli ampi poteri al di fuori degli organi democratici, e tende altresì ad escludere la possibilità che i vari governi possano operare a danno dei cittadini.
Si potranno criticare i singoli politici, ed individuare tra di loro persone poco oneste, ma nel complesso l’idea delle strutture democratiche che agiscono contro il cittadino non verrà presa in considerazione.

Vi sono poi coloro che di tali questioni si disinteressano, coloro i quali ritengono la vita quotidiana in sé una preoccupazione sufficientemente grande di cui occuparsi, con i suoi mutui, la famiglia da mantenere, la difficoltà del lavoro.
Per queste persone semplicemente non c’è tempo, e soprattutto interesse, nell’occuparsi di temi talmente lontani dalla quotidianità, temi dei quali non se ne verrebbe comunque mai a capo.
La stragrande maggioranza delle popolazione fa parte ovviamente di questa ultima categoria.
E sia chiaro che non si dà qui alcun giudizio di merito sulle scelte del singolo individuo; ogni uomo ha le sue priorità e compie le proprie scelte.

Quanto segue quindi non interessa particolarmente questi gruppi di persone, ma è rivolto principalmente a coloro che negli avvenimenti che osservano scorgono ombre poco definite, ombre di decisioni prese in luoghi inaccessibili all’opinione pubblica, e ipotizzano l’esistenza di persone influenti che dietro le quinte siano in grado di dare una determinata direzione al susseguirsi degli eventi stessi.

E’ necessario quindi fare anche i conti con questa convinzione, in un secondo momento.
Perché si corre il rischio di divenire particolarmente vulnerabili quando il velo diviene trasparente, quando nei governanti si scorgono gli oppressori e le sbarre della recinzione che ci circonda divengono visibili.
Ci si può lasciare andare allo sconforto, covare un senso di rabbia persistente che logora l’anima come fosse acido, oppure farsi travolgere dalla paura.
Tutti sentimenti che, per quanto umani e comprensibili, vanno abbandonati in fretta.
In primo luogo perché deleteri a noi stessi.
In secondo luogo perché risulta molto più produttivo concentrarsi sulle opere utili che ancora si possono attuare.
Senza pretendere miracoli od eroismi: il lavoro più importante ognuno è chiamato a farlo dentro se stesso.
Per quanto sia un concetto spesso banalizzato, e questo è un chiaro segno dei tempi, resta pur sempre una nozione fondamentale da tenere a mente.

Vi sono piani più grandi di noi che devono compiersi, e uomini piccoli che fungono da esecutori.
Noi vediamo questi esecutori e li crediamo potenti, ma sono in verità dei poveri diavoli.
Appaiono potenti ed importanti perché tendiamo a giudicarli con il metro di misura che loro stessi ci hanno imposto: il denaro, il possesso, il potere.
Ma queste non sono scale di valore per giudicare un uomo, e rendersene conto significa fare un grande passo per sfuggire al loro stesso “dominio”.
Una volta compreso che questi non sono i valori con cui confrontarci, ci renderemmo conto che le persone che ci incutono a volte timore ed a volte rabbia per mezzo dei loro piani, sono in realtà dei poveracci, schiavi di una visione distruttiva, seminatori di dolore ed ingiustizia.

Anime perse in corpi corrotti.
Sanno fare del male, ma sono da compatire.
Occorre quindi non lasciarsi imprigionare una seconda volta nella loro visione, e rifiutare in toto la loro scala di valori.
Non serviranno più né la paura né la rabbia, e si scoprirà un piano superiore dove quegli stessi individui non potranno avere alcuna influenza: si tratta del piano della realizzazione personale, dell’incontro intimo con quello che veramente conta, della ricerca a cui ognuno è chiamato, una ricerca che conduce al centro per poi risalire, una ricerca che porta ad avere un nuova visuale del mondo.

Tratto da Tra Cielo e Terra (http://santaruina.splinder.com/)

LORO (NOI) COMPAGNI DI PRIGIONIA

30 Mar

vignetta310807In una giornata ordinaria, quando non succede niente  e le crisi annunciate di ora in ora sono quelle di sempre (e tanto per cambiare i poltici dichiarano che senza di loro sarebbe la CATASTROFE), passando accanto a qualcuno puo’ succedere di scambiarsi un rapido sguardo. Alcune di queste occhiate servono a verificare se anche gli altri immaginino la stessa cosa quando dicono: allora questa e’ la vita!

Cerco le parole per descrivere il periodo storico che stiamo vivendo. Dire che non ha precedenti non significa molto, perche’, da quando si e’ scoperta la Storia, ogni periodo e’ stato senza precedenti!

Non sono alla ricerca di una definizione complessa del periodo che stiamo attraversando, perche’ non mancano i pensatori come Zygmuny Bauman, che si sono assunti questo compito essenziale. Sto semplicemente cercando un’immagine che funzioni come punto di riferimento. I punti di riferimento non si spiegano fino in fondo, ma ci offrono un terreno comune. In questo senso somigliano taciti presupposti contenuti nei proverbi popolari. Senza punti di riferimento si corre l’enorme rischio umano di girare a vuoto.

Il punto di riferimento che ho trovato e’ quello della prigione. Niente di meno. In tutto il pianeta viviamo in una prigione.

La parola “noi”, stampata o pronunciata sugli schermi, e’ ormai sospetta, perche’ chi ha potere la usa di continuo affermando demagocicamente di parlare anche a nome di chi non ne ha. Per parlare di noi usiamo quindi il “loro”. Loro vivono in una prigione.

Che genere di prigione? Come e’ fatta? Dove si trova? O sto usando la parola solo come una figura del discorso?

No, non e’ una metafora, la reclusione e’ reale, ma per descriverla bisogna pensare in termini storici.

Che genere di prigione?

Micheal Foucault ha dimostarto in modo vivido che il penitenziario e’ un’invenzione del tardo settecento, inizi ottocento, strettamente connessa alla produzione industriale, alle sue fabbriche e alla sua filosofia utilitaristica. Prima di allora le carceri erano estensioni della gabbia e della segreta. Quel che distingue il penitenziario e’ il numero dei prigionieri che vi si possono ammassare, e il fatto che sono tutti sotto costante sorveglianza.

Oggi, nell’era della globalizzazione, il mondo e’ dominato dal capitale finanziario, non da quello industriale, e i dogmi che definiscono la criminalita’ e le logiche carcerarie sono radilcamente cambiati. I penitenziari esistono ancora e ne vengono costruiti ogni giorno di piu’.

Tra capitalismo industriale, dipendenta dalla produzione e dalle fabbriche, e capitalismo finanziario, dipendente dalle speculazioni del libero mercato e dagli operatori che gestiscono l’interazione con il cliente, l’area di carcerazione e’ cambiata.

Adesso la prigione e’ grande come il pianeta e le sue zone assegnate variano e posso essere definite luogo di lavoro, campo profughi, centro commerciale, periferia, complesso di uffici, favela, sobborgo… La cosa essenziale e’ che quelli che sono reclusi in queste zone sono compagni di prigionia.

Oggi lo scopo di buona parte dei muri della prigione (di cemento, elettronici, pattugliati o inquisitori) non e’ tener dentro i prigionieri e rieducarli, ma tenerli fuori ed escluderli. La maggior parte degli esclusi e’ senza nome. Da questo deriva l’ossessione per l’identita’ di tutte le forze di sicurezza. Gli esclusi sono anche senza numero. Per due ragioni. Primo perche’ il loro numero fluttua: ogni carestia, disastro  naturale e intervento militare (ora chiamato mantenimento dell’ordine!) riduce o aumenta la loro moltitudine. Secondo, perche’ stimarne il numero significa affrontare il fatto che loro costituiscono la ma maggioanza degli esseri viventi sulla faccia della terra. E guardare in faccia questa realta’ vuol dire precipitare nell’assoluta assurdita’.

Liberare i piccoli prodotti dalla lor confezione e’ – lo avrete notato – sempre piu’ difficile. Qualcosa di simile e’ successo con le vita di chi ha un impiego remunerativo. Chi ha un lavoro legale e non e’ povero, vive in uno spazio ridottissimo che gli permette un numero sempre minore di scelte, salvo la continua scelta binaria tra ubbidienza e disobbedienza. Il suo orario di lavoro, il suo luogo di residenza, le sue competenze e la sua esperienza passata, la sua saluta, il futuro dei suoi figli, tutto quello che esula dalla sua funzione di dipendente deve occupare una piccola posizione di secondo piano rispetto alle esigenze enormi ed imprevedibili del Profitto liquido. Inoltre la Rigidita’ di questa “regola della casa” e’ chiamata Flessibilita’. In prigione le parole cambiano di segno.


In Giappone l’allarmante pressione delle condizioni di lavoro di alto livello ha di recente obbligato i tribunale a riconoscere e definire la nuova categoria legale di “morte da superlavoro”. Non esiste altro sistema, viene detto a chi ha un impiego remunerativo. Non c’e’ alternativa. Prendete l’ascensore. L’ascensore e’ una piccola cella.

Osservate la strutture del potere senza precedenti che circonda il mondo, e come funzionano le sue autorita’. Ogni tirannia scopre e improvvisa il proprio insieme di controlli. Ed e’ per questo che spesso, al principio, non ci accorgiamo che si tratta di controlli viscosi.
Le forze del mercato che dominano il mondo asseriscono di essere inevitabilmente piu’ forti di qualsiasi stato-nazione. Questa affermazione e’ confermata ogni istante. Da una telefonata non richiesta per convincere l’abbonato a sottoscrivere una nuova assicurazione sanitaria o pensione privata fino al piu’ recente ultimatum dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Il risultato e’ che la maggior parte dei governi non governa piu’. Un governo non procede piu’ nella direzione che si e’ scelto. La parola orizzonte, con la sua promessa di un futuro in cui sperare, e’ svanita dal discorso politico, a destra e sinistra. La sola cosa ancora aperta alla discussione e’ come misurare quel che c’e’. I sondaggi d’opinione rimpiazzano l’orientamento e si sostituiscono al desiderio.
La maggior parte dei governi ammassa il branco invece di governare.

Nel Settecento alla pena di carcerazione a lungo termine si dava con tono di approvazione la definizione di “morte civile”. Tre secoli dopo, i governi stanno imponendo con la legge, la forza, le minacce economiche e il loro brusio mediatico, regimi di massa di “morte civile”.

Vivere sotto una qualsiasi tirannide del passato non era forse una forma di carcerazione?

E’ qui che il pensiero di Zygmunt Bauman e’ illuminante. Egli mostra che le forze del mercato finanziario che oggi governano il mondo sono extraterritoriali, vale a dire “libere dalle costrizioni territoriali, le costrizioni della localita’. Sono perennemente remote, anonime e dunque non devono preoccuparsi delle conseguenze fisiche, territoriali delle loro azioni. Bauman cita Hans Tietmeyer, presidente della banca federale tedesca: “La posta odierna e’ creare condizioni favorevoli alla fiducia degli investitori”. La sola e suprema priorita’.
Ne consegue che il controllo delle popolazioni mondiali, composte di produttori, consumatori e poveri emarginati, e’ il compito assegnato ai docili governi nazionali.
Il Pianeta e’ una prigione e i governi ubbidienti, di destra o sinistra, sono i mandriani.


Il sistema-prigione opera grazie al ciberspazio. Il ciberspazio offre al mercato una rapidita’ di scambio pressoche’ istantanea, in funzione 24 ore  su 24 in tutto il mondo per commerciare. Da questa rapidita’, da questa velocita’, la tirannia del mercato ottiene la sua licenza extraterritoriale. Una simile velocita’, tuttavia, ha un effetto patologico su quelli che la praticano: li anestetizza. Qualunque cosa succede, business as usual.

Quella velocita non lascia spazio al dolore: forse alle sue avvisaglie, ma non alla sofferenza. Di conseguenza, la condizione umana e’ bandita, esclusa, da chi fa funzionare il sistema, che e’ solo perche’ non ha cuore. In passato i tiranni erano spietati ed inaccessibili, ma facevano parte del vicinato ed erano esposti al dolore. Non e’ piu’ cosi, e in questo sta il probabile punto debole del sistema.

Loro (noi) sono compagni di prigionia. Questo riconoscimento contiene un rifiuto. Da nessuna parte piu’ che in prigione il futuro e’ conteggiato e atteso come qualcosa di assolutamente opposto al presente. Chi e’ in carcere non accettera’ mai che il presente sia definitivo.

Nel frattempo come vivere questo presente? Che conclusione trarre? Che decisioni prendere? Come agire? Adesso che il punto di riferimento e’ stato fissato, ho qualche indicazione da suggerire.

Di qua dai muri si da’ retta all’esperienza, nessuna esperienza e’ considerata obsoleta. Qui la sopravvivenza e’ rispettata ed e’ inutile dire che spesso dipende dalla solidarieta’ tra compagni di prigionia.
Le autorita’ lo sanno, ecco perche’ ricorrono all’isolamento, attraverso la segregazione fisica o il loro brusio mediatico, per disconnettere le vite individuali della storia, dal lascito del passato, della terra e, soprattutto, da un futuro comune.
Ignorate le chiacchiere del carceriere. Ovviamente tra i carcarieri, ce ne sono di cattivi e meno cattivi. In certe condizioni e’ utile notare la differenza. Ma quel che dicono – i meno infami – sono cazzate. I loro inni, le loro parole di legno, per esempio Sicurezza, Democrazia, Identita’, Civilta’, Flessibilita’, Produttivita’, Diritti Umani, Integrazione, Terrorismo, Liberta’, sono ripetuti all’infinito per confondere, dividere, distrarre e sedare tutti i compagni di prigionia. Di qua dai muri, le parole dei carcerieri sono prive di significato e non aiutano piu’ a pensare. Non portano da nessuna parte. Rifiutatele anche in silenzio quando siete per conto vostro.

Tra i compagni di prigionia non mancano i conflitti, a volta violenti. Tutti i prigionieri sono deprivati, eppure ci sono diversi gradi di deprivazione e le differenza di grado suscitano invidia. Di qua dai muri la vita vale poco. Il fatto stesso che la tirannide globale sia senza volto incoraggia la ricerca di capri espiatori, di nemici immediatamente identificabili, tra gli altri reclusi. Allora le celle soffocanti diventano un manicomio. I poveri aggrediscono i poveri, chi e’ stato invaso saccheggia l’invasore.

Le autorita’ fanno sistematicamente del loro meglio per tenere i compagni di prigionia male o poco informati su quel che succede altrove nella prigione del mondo. Non indottrinano nel sensso aggressivo del termine. L’indrottinamento e’ riservato alla formazione di una piccola elite’ di operatori ed esperti di management e mercato.

Riguardo alla massa della popolazione carceraria lo scopo e’ non attivarla, bensi’ tenerla in uno stato di insicurezza passiva, per ricordarle senza rimorsi che nella vita non c’e’ altro che rischio e che la terra e’ un posto pericoloso.


Lo si fa mescolando informazioni accuratamente selezionate, informazioni sbagliate, commenti dicerie, storie inventate di sana pianta. Nella misura in cui si riesce, l’operazione propone e alimenta un paradosso allucinante, poiche’ spinge la popolazione carceraria a credere che per ognuno dei suoi membri la priorita’ sia organizzare la propria difesa personale e ottenere in qualche modo, nonostante il comune stato di reclusione, la propria speciale esenzione del destino collettivo.

L’immagine dell’umanita’ che ci viene trasmessa dalla visione del mondo e’ ancora una volta senza precedenti. L’umanita’ e’ presentata come una massa di codardi: solo i vincenti sono coraggiosi. Inoltre non ci sono regali: ci sono solo premi.

I prigionieri hanno sempre trovato dei sistemi per comunicare tra loro. Nell’attuale prigione globale il ciberspazio puo’ essere usato contro gli interessi di chi l’ha originariamente installato. In questo modo, i reclusi raccolgono informazioni su quel che il mondo fa ogni giorno e ricostruiscono le storie del passato, trovandosi cosi fianco a fianco con i morti.

Nel farlo, riscoprono piccoli doni, esempi di coraggio, un’unica rosa in una cucina dove non c’e’ abbastanza da mangiare, dolori indelebili, l’instancabilita’ delle madri, risate, aiuto reciproco, silenzio, una resistenza che continua a crescere, il sacrificio volontario, altre risate…
I messaggi sono brevi, ma si protraggono nella solitudine delle loro notti.

L’indicazione finale non e’ tattica, ma strategica.

Il fatto che i tiranni del mondo siano extraterritoriali spiegano la misura della loro capacita’ di sorveglianza, ma indica anche una debolezza a venire. Operano nel ciberspazio e abitano in condomini strettamente vigiliati. Non sanno neinte della terra che li circonda. Ne’ vogliono conoscerla, perche’ a sentir loro si tratta di un sapere superficiale, senza profondita’. Contano solo le risorse che ne estraggono. Non posso prestare ascolto alla terra. Sul terreno sono ciechi. Nello spazio fisico e locale sono persi.

Per i compagni di prigionia e’ vero il contrario. Le celle hanno pareti che si toccano da una parte all’altra del mondo. Gli atti concreti di resistenza si radicheranno nel locale, vicino e lontano.

Lentamente la liberta’ viene ritrovata non all’esterno, ma nel cuore della prigione.

John Berger

SCIE CHIMICHE – PERCHE’ MOLTI NON VOGLIONO VEDERE LA REALTA’

28 Mar

Le disquisizioni sui parametri fisici necessari alla creazione di una scia di condensa, di fronte allo scempio quotidiano dei nostri cieli, ormai non hanno quasi più senso. Forse possono essere utili per chi vive in quelle regioni o in quei paesi in cui l’irrorazione è ancora a bassi livelli, ma adesso qui in Italia (almeno al centro, al nord, in Sardegna) la situazione è realmente degenerata, con giorni sempre più frequenti di copertura/schermatura totale del cielo ad opera di scie che fuoriescono dagli aerei. Le scie chimiche non sono più un fenomeno al quale si può credere o non credere, ma del quale ci si può avvedere o non avvedere: la distinzione ormai passa solo tra chi le vuole vedere e chi non le vuole vedere, tra chi osserva con costanza il cielo e chi al cielo volge sguardi distratti ed infrequenti.

Se anche qualcuno pensasse che si tratti di normali voli civili dovrebbe quantomeno insorgere indignato contro il traffico aereo e chiederne una sospensione o un ridimensionamento, visto che non arriva più il sole alle coltivazioni di cui ci dovremmo nutrire. E invece niente, chi non osa parlare di scie chimiche non si indigna nemmeno di fronte ad uno dei furti più orribili che vengono perpetrati all’umanità ed alla biosfera tutta: quello della benefica luce solare.

Per quanto sia utile quindi dimostrare che quelle che vediamo nel cielo (tranne casi rarissimi) sono tutte scie chimiche e non condensa di vapore acqueo, ormai le leggi della fisica ed i dati oggettivi servono a ben poco di fronte alla granitica determinazione della maggior parte della gente a non guardare in faccia la triste realtà. Basta guardare il cielo (che sempre più di frequente passa da azzurro a bianco in seguito all’incrocio di decine e decine di scie) per accorgersi con orrore che ci hanno sottratto la luce del sole, basta contare il numero degli aerei che passano davanti alla nostra finestra per scoprire che in certi giorni l’assenza di ogni tipo di volo (tranne quei tre o quattro tre voli civili che per davvero passano sopra di noi decollando o atterrando all’aeroporto più vicino) riporta il cielo al colore azzurro di un tempo (o quasi).

Per rendersi conto delle scie chimiche basta osservare il cielo ad occhio numero e contare fino a cento, verificando l’irregolarità assoluta delle frequenze di voli tra un giorno e l’altro, e l’assurda impennata dei voli notturni, la cui quota ridicolmente bassa è dimostrata dal potente rombo che giunge alle nostre orecchie. Per non parlare dei veri e propri “raid” compiuti da formazioni di aerei con scia al seguito (avete mai preso un aereo che volasse affiancato ad uno a due altri velivoli?)

È quindi impossibile trovare qualcuno che in seguito ad una discussione e ad una osservazione del cielo non si renda conto dell’esistenza delle scie chimiche, anche se ho trovato diverse persone che preferiscono non vederle, fare finta di niente, dimenticarle, o fare voli pindarici con la fantasia per inventarsi un’operazione segreta a fin di bene.

In effetti una delle prime persone a cui ho spiegato quello che stava avvenendo in cielo non ha potuto negare il fenomeno, ma dopo avere letto il materiale che gli avevo fornito, guardato i video ed osservato il cielo, ci ha riflettuto su ed ha deciso che un “buon motivo per farlo ci deve pur essere, non potranno mica farlo solo per avvelenarci”. E così si è tolto un peso dalla coscienza, ha potuto continuare a ridere e scherzare, guardarsi le partite di calcio e pensare al suo tran-tran quotidiano fatto di famiglia e lavoro come se niente fosse. Quello che aveva intravisto era troppo orribile perché ci potesse credere, era qualcosa che poteva minare tutte le sue convinzioni personali, distruggere la visione del mondo che aveva fatta propria, e poi lo avrebbe dovuto portare a combattere, ad ingaggiare una lotta contro un potere spaventoso.

Molto più semplice fabbricarsi da soli una menzogna a dir poco ridicola (avete mai visto un governo che fa qualcosa per il bene del popolo e lo nasconde persino? non stiamo parlando qui delle piccole bugie che i genitori a volte raccontano ai propri bambini a fin di bene!) che rischiare di intraprendere un cammino di presa di coscienza psicologicamente doloroso. Tranne poi ritrovarsi nel giro di qualche anno a sperimentare un dolore ancora più atroce dovuto a qualche terribile malattia o altra sciagura che potrebbe abbattersi sulla propria famiglia.

Insegna infatti il sociologo della scienza D. Bloor, autore dell’ottimo libro La dimensione sociale della conoscenza (Raffaello Cortina editore, 1994), che le persone di fronte alla scoperta di dati che contraddicono la propria visione del mondo, sono pronte ad inventarsi le più assurde ed illogiche giustificazioni per fare rientrare i nuovi dati all’interno dei loro schemi mentali. Se poi si tratta di schemi socialmente condivisi, il conformismo del singolo arriva a livelli di fideismo religioso, e la “realtà” che egli vede è poco più che il riflesso di un insieme di pregiudizi condivisi; vedi anche il lavoro dei due sociologi della scienza P.L. Berger e T. Luckman La realtà come costruzione sociale (Il mulino, Bologna, 1969).

Ritornando alle scie chimiche non potrò mai scordare il comportamento di quella persona che quando le ho detto “guarda questo video” si è rifiutato di guardarlo, e quando le ho detto “guarda questo cielo” si è rifiutato di affacciarsi alla finestra, per poi sentenziare (all’interno di una stanza, lontano dalla finestra) che “le scie chimiche non esistono perché non potrebbero avvelenarci con un’azione così evidente agli occhi di tutti”. Insomma secondo costui un dato dell’esperienza (che preferisce in ogni caso non acquisire) si potrebbe cancellare con uno pseudo-ragionamento, che se fosse corretto porterebbe a cancellare persino delle evidenze storiche.

Molte alte persone informate da me si sono rese conto del fenomeno, hanno capito che non si tratta assolutamente di scie di condensa di vapore acqueo, si sono informate, hanno compreso che vengono rilasciati prodotti velenosi e … dopo un poco non ne hanno più voluto parlare, preferendo discutere di musica, di sport o della contrapposizione politica tra un centro-destra ed un centro-sinistra che da diversi anni portano avanti di comune accordo l’irrorazione chimico- biologica contro la popolazione civile.

In questo caso il blocco psicologico ha funzionato ad un livello leggermente più alto, ma ha funzionato lo stesso. Non potendo negare l’evidenza dei fatti queste persone hanno preferito non pensarci troppo, non impegnarsi a rivedere i propri schemi di interpretazione della realtà, non impegnarsi in una lotta in prima persona contro questa terribile violenza.

Molte persone non potendo negare le scie chimiche piuttosto che impegnarsi nella denuncia e nella divulgazione del fenomeno preferiscono rifugiarsi nella meditazione o nella preghiera, non hanno il coraggio nemmeno di parlarne coi propri colleghi di lavoro. A una di queste ho cercato di spiegare che la presenza delle scie chimiche comporta l’esistenza di una rete cospirativa globale a monte di esse e quindi dell’esistenza di una struttura organicamente malvagia; il risultato è stato che quella persona invece che affrontare serenamente la discussione si è arrabbiata. Insomma, ammettere l’esistenza delle scie chimiche va bene (in fondo inquinano tutte le produzioni industriali e tutti i mezzi di trasporto), ma ammettere che il governo sia schierato apertamente contro il cittadino arreca un fastidio psicologico così grande che quasi nessuno è disposto a sopportarlo.

Ma la molte parte delle persone che ho informato sulle scie chimiche hanno preferito evitare la discussione, o meglio, hanno iniziato a discutere cercando di accampare scuse patetiche (“non ho visto niente di strano nel cielo”), poi quando gli ho fatto sbattere gli occhi contro la realtà (portandoli accanto ad un finestra) e ho fornito loro alcuni documenti da leggere si sono rifugiati nel silenzio: hanno evitato l’argomento sperando forse che il velenoso problema scomparisse miracolosamente non appena avessero smesso di preoccuparsene.

Qualcuno è stato più sincero dicendomi apertamente prima di una riunione sindacale: “non ci parlerai ancora di quelle cose terribili delle scie”? Almeno è stato sincero ammettendo che l’incapacità di difendere sé stessi e le proprie famiglie è dettata da una forma di paura comprensibile ma in fondo irrazionale.

La cosa triste è che molte di queste persone poi inneggiano ai valori della lotta partigiana ed organizzano convegni per commemorare l’olocausto: si renderanno conto in cuor loro del loro atteggiamento contraddittorio e pusillanime? A che serve tenere viva la memoria di chi ha lottato per la libertà mettendo a rischio la propria vita se non si ha il coraggio di denunciare (nemmeno a parole) il peggiore dei mali dell’epoca moderna? È facile e comodo denunciare quello che ha fatto un regime ormai annientato 50 anni fa, non lo è altrettanto denunciare quello che fa il regime attuale.

Chiudo questa rassegna riportando le parole illuminanti di qualcuno con cui ho provato a dialogare per alcuni mesi, che non riusciva a negare che le scie spesso coprissero il sole né che a volte seguissero traiettorie curve né altre stranezze, senza per questo decidersi ad ammettere la realtà delle scie chimiche. Le parole non sono testuali, mai senso è rimasto immutato:

“Magari hai ragione, sono scie velenose, ma non vale la pena angosciarsi così tanto, meglio vivere la propria vita al meglio e godersela finché si può; a lottare inutilmente ci si fa il sangue amaro e ci si rovina la vita.”

Similmente altre persone sollecitate da me a divulgare le informazioni ricevute mi hanno invitato a vivere la vita al meglio senza pensare troppo alle cose negative: “cosa vuoi fare, gli uomini sono stupidi e non capiscono nemmeno che i governi li fregano quotidianamente, la razza umana fa schifo e forse si merita persino il quasi totale annientamento; magari dopo un disastro epocale, per chi sopravviverà, ci sarà la possibilità di ricominciare da zero”.

amen

A questo punto sorge un dubbio: questi atteggiamenti mentali dipendono solo dal disagio psicologico che impedisce alla gente di rendersi conto di quello che succede e reagire di conseguenza? Sicuramente accettare l’esistenza delle scie chimiche significa anche accettare l’esistenza di una organizzatissima ed efficientissima trama cospirativa (la cui esistenza è indispensabile per mantenere la cappa di silenzio su tale operazione impedendo fughe di notizie da parte di piloti, assistenti di voli, hostess, metereologhi, giornalisti, funzionari dell’ARPA, autorità sanitarie …) e quindi a cambiare radicalmente la nostra interpretazione del mondo che ci circonda.

Ma quanto esposto credo sia anche il segno dell’uso di sistemi di manipolazione mentale, dai nanosensori dispersi con le stesse scie chimiche all’utilizzo di particolari frequenze elettromagnetiche.

Tratto da http://scienzamarcia.blogspot.com/

SIGNORAGGIO (FABIO VOLO INTERVISTA SANRO PASCUCCI)

10 Mar